Nel corso della Assemblea di oggi la riflessione sul fine vita ha preso le mosse dalla domanda che l’umanità si è posta fin dall’antichità “Da dove proviene il male?” alla quale le teologie hanno cercato a volte in modo maldestro e terribile di dare una risposta.
Le antiche religioni politeiste hanno trovato una risposta ponendo accanto a un dio buono protettore della vita, un dio malvagio portatore di morte. Con l’ebraismo si affermò un unico Dio che inizialmente fu visto come autore sia del bene che del male, ma che poi assegnò la responsabilità del male all’uomo: il male, la malattia, il dolore divennero l’effetto delle colpe dell’uomo (colpe proprie o dei padri, colpe che ricadevano anche sulle generazioni future), divennero addirittura il modo con il quale Dio puniva l’uomo per le sue colpe. Una mentalità terribile che fu messa in discussione già a partire dal profeta Ezechiele che non trovava giusto che Dio arrivasse a punire i figli e i nipoti, ma che comunque ha inciso arrivando fino a noi (pensiamo a quando si sente dire “cosa ho fatto di male perché mi sia capitato questo?”). Una mentalità che fu messa in discussione anche dall’ autore del Libro di Giobbe che racconta la storia di un uomo sul quale si abbatte ogni sorte di malattia e di calamità, nonostante la sua bontà e integrità. Sorge allora la spiegazione del male come una prova ci Dio sottopone per testare la fiducia dell’uomo nella divinità.
Al tempo di Gesù tutti questi modi di pensare permeavano la società. Gesù è cresciuto in un contesto che ritiene che Dio premi per i meriti e punisca per le colpe, che considera il dolore, la malattia come frutto di una colpa.
Eppure dai Vangeli emerge una figura che nei fatti capovolge la mentalità corrente: Gesù si lascia avvicinare dai malati, li ascolta, dedica da loro tempo e delle attenzioni. Non chiede ai malati di accettare la malattia come espressione della volontà di Dio, ma offre ascolto, vicinanza, empatia.
Non dice che la sofferenza è stata inviata da Dio, non dice che è una prova, un’espiazione.
Gesù non ha paura dei malati, si avvicina e sta loro a fianco con emaptia. Questa empatia è il messaggio evangelico che oggi cerchiamo di fare nostro.
Nel corso della Assemblea abbiamo anche riflettuto insieme sull’importanza di scegliere in libertà del proprio fine vita.
E Felicetta Maltese della Associazione Luca Coscioni, in un dialogo attento e partecipe, ha fornito informazioni sulla legge che ha introdotto le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT). Molte informazioni e riflessioni sono riportate nel fascicolo che è qui scaricabile,