Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. E la giustizia alla quale l’evangelista Matteo ci richiama riguarda coloro i quali sono stati citati nei versetti precedenti: gli oppressi e i diseredati. Ma come saziarli? I biblisti sottolineano che l’evangelista adopera il termine saziare solo 3 volte: nelle beatitudini e nell’episodio della cosiddetta moltiplicazione dei pani e dei pesci. E così il Vangelo mostra quale sia l’indicazione di Gesù : saziare la fame e la sete di giustizia si può fare solo saziandone la fame e la sete materiale delle persone.
Nel corso della Assemblea comunitaria del 18 giugno, a partire da questa riflessione sulla giustizia che leggiamo nel Vangelo, ricordiamo la figura di Mario Fabiani, il sindaco comunista, il primo sindaco del dopogerra, che ebbe un ruolo fondamentale nella nascita del quartiere dell’Isolotto ma che è spesso dimenticato, erroneamente posto in ombra per dar luce alla figura del sindaco Giorgio La Pira.
Gli esordi: Fabiani, nato nel 1912 da una famiglia semplice, lavora fin da giovanissimo e inizia presto a militare nel movimento comunista empolese. All’inizio degli anni ’30 ricercato dai fascisti è costretto a scappare, prima a Parigi e poi a Mosca dove frequenta la scuola leninista e dove ha modo di sviluppare una propria posizione disincantata e critica verso l’URSS e la politica sovietica. Nel 1934, rientrato in Italia, è arrestato dai fascisti e condannato a 22 anni di carcere (ne sconterà nove). Nell’agosto 1943 riconquistata la libertà, riprende i contatti con il PCI fiorentino e svolge ruoli cruciali nella battaglia per la liberazione della città. Dopo la Liberazione assume il ruolo di vicesindaco nella giunta formata dal Comitato Toscanao di Liberazione Nazionale (CTLN) e guidata da Pieraccini, e poi nelle prime elezioni democratiche del novembre ’46 ottiene oltre 21.000 preferenze e diventa sindaco di Firenze.
La ricostruzione e l’attenzione ai lavoratori e alla cultura: in piazza Signoria, eletto da poco dichiara: “[la Giunta] è fermamente decisa ad amministrare la città tenendo presenti le condizioni del popolo lavoratore e colpire quindi tutti coloro che hanno speculato sulla fatica di esso.” Di fronte alla una città devastata dai bombardamenti, piena di sfollati e di disoccupati, da ricostruire sia fisicamente che moralmente, è convinto che la vera Liberazione dal fascismo e la vera ricostruzione debba partire dal lavoro e dai lavoratori, dall’istruzione, la cultura e la bellezza: per questo si attiva subito per la ricostruzione delle scuole e la riapertura del Maggio musicale fiorentino.
La giustizia sociale: nel 1949, in consiglio comunale torna sul tema della giustizia sociale e, sentendo forte su di sé l’impegno a concretizzarla, afferma: “Tutte le volte che ci accingiamo a far pagare veramente i ricchi, ci accorgiamo che, per i ricchi, c’è sempre il modo di sfuggire al pagamento; ed allora noi finiamo per accordarci con essi, siamo da essi ricattati. (…) Se almeno una volta riusciremo a farli pagare, sarà una soddisfazione morale per tutti i lavoratori ai quali chiediamo di pagare l’imposta di famiglia e che la pagano in proporzione molto più forte dei ricchi.”
La questione urbanistica: uno dei grandi temi su cui pone l’attenzione è la questione urbanistica – dalla ricostruzione dei quartieri bombardati allo studio di un piano regolatore comunale, al dare casa a sfrattati e sfollati. Segue il dibattito degli intellettuali fiorentini – architetti, storici e studiosi in generale – sul futuro della città e sul modo – rispettoso della storia e della cultura fiorentina – di ricostruirne le parti distrutte dalla guerra.
Nel 1951, si arriva al dibattito sul piano regolatore: è il primo dopo circa venti anni e ha caratteristiche fortemente innovative: ha un’ottica intercomunale e uno sguardo aperto.
Il piano INA-Casa, i 19 villaggi popolari e l’Isolotto: nel novembre del 1950 a Roma riesce ad ottenere dal Comitato dell’INA-Casa
i fondi (2 miliardi e 400 milioni) per la costruzione di una delle 19 nuove aree da costruire nelle periferie delle grandi città del territorio nazionale. E subito incarica gli ingegneri Burci dell’IACP, Giuntoli del Comune, Poggi e gli architetti Pastorini, Pellegrini e Tiezzi di redigere il piano urbanistico dell’area… (vi veda Daniela Poli, Storie di Quartiere, ed. Polistampa 2004, p.73). Da questi fondamentali passi nascerà di li a poco il quartiere dell’Isolotto.
Un uomo che rifugge il culto della personalità: Fabiani di solida cultura antifascista rifugge da ogni culto della personalità, e lo si vede da molte sue prese di posizione, tra le quali merita di essere ricordata la volta in cui, nel 1953, ai compagni comunisti riuniti per la scomparsa di Stalin consigliò, in modo sereno e deciso, di non piangere la morte di un dittatore!
E lo si vede anche dal fatto che oggi sul web vi sono pochissime sue foto.
Il rapporto con La Pira: a Fabiani che è sindaco dal 1946 al 1951, succede La Pira. Il primo comunista, il secondo democristiano. Tra i due, nonostante le diverse provenienze potiche, si sviluppa un legame importante che è messo in luce da molti protagonisti dell’epoca, tra i quali Romano Bilenchi, che racconta: “Quando La Pira sembrava un po’ stanco gli proponevamo uno dei piani che tenevamo sempre pronti. Non certo per sminuire la sua opera importante che soltanto lui avrebbe potuto portare avanti, posso affermare con tranquillità che alcune iniziative di La Pira, delle più acclamate, erano spesso partite da un suggerimento di Fabiani, come quella dell’incontro fra i sindaci di città dell’Est con i sindaci di città americane.”
Lo stesso La Pira commemorando Fabiani dirà “…Ci accomunava l’idea che, in tempi di guerra fredda e di virulento scontro ideologico Est-Ovest, fosse necessario mettere Firenze a servizio della coesistenza pacifica, della unità e della giustizia dei popoli.”
Per questo La Pira descriveva il suo ventennale rapporto con Fabiani come una “convergenza operosa”.
L’unità è combattuta conquista collegiale di teste dollecitate continuamente a pensare: pochi giorni dopo la sua morte, Alberto Cecchi su Rinascita lo ricordò con queste parole: “Ci insegnerà che l’unità non è né ovvia e grigia disciplina uniforme, né coacervo di comode indiscipline o di arroganti certezze individuali, ma combattuta conquista collegiale di teste sollecitate continuamente a pensare”.
Tutto questo e molto altro si può trovare nel fascicolo distribuito nel corso della Assemblea e qui scaricabile: