Il 27 febbraio 2024 al Teatro La Fiaba vi è stata l’inaugurazione di un anno di iniziative per festeggiare la nascita del Villaggio Ina-Casa e per riflettere su come è nato e cresciuto, sui problemi dell’oggi, sulle sue potenzialità e criticità, sul suo futuro. Alla serata di festa e riflessione hanno partecipato, oltre a Mirko Dormentoni Presidente del Quartiere 4, Mario Primicerio già sindaco di Firenze, Federico Micali regista fiorentino (è stato proiettato il trailer del suo docufilm “Le chiavi di una storia”), Paola Amorosi e altri animatori per la parrocchia dell’Isolotto, Piero Caramelli uno dei primissimi abitanti che ricevettero le chiavi nel 1954, Daniela Baldi coordinatrice degli Operatori di Strada, Damiano Palagi del gruppo Scout, e Claudia Daurù per la Comunità dell’Isolotto.
Ospite speciale Paolo Hendel che ha letto il noto discorso del Sindaco La Pira “Non case ma città”.
La riflessione che la Comunità ha proposto si è svolta intorno a quattro parole chiave: fraternità, partecipazione e responsabilità, prossimità.
Il testo dell’intervento – che poi è stato espresso a braccio – è riportato qui sotto:
INTERVENTO DI CLAUDIA DAURU’ PER LA COMUNITA’ DELL’ISOLOTTO: È difficile dire in poco tempo il ruolo che la comunità dell’Isolotto – prima comunità parrocchiale e poi, dal 1969, comunità di base – ha avuto per la nascita, la crescita e l’evoluzione della “comunità quartiere”. Per farlo ho scelto alcune parole chiave:
1) la prima è FRATERNITA’: don Enzo Mazzi, il primo parroco arrivato all’Isolotto nel dicembre del 1954, scrisse queste parole, alle famiglie, per Natale:
“Il nostro Isolotto deve diventare il regno della fraternità dove tutti si considerino veramente fratelli senza distinzioni o esclusioni […] dove tutti cioè cerchino di collaborare attivamente per il bene dell’intera Comunità evitando di richiudersi o separarsi, in una parola il nostro Isolotto deve diventare il regno dell’amore scambievole”. Queste parole indicano una strada importante anche oggi! Un orizzonte: “la fraternità”; un invito concreto “tutti cerchino di collaborare attivamente”, una modalità pratica: “senza distinzioni o esclusioni” e “senza rinchiudersi o separarsi”.
Come è noto in questo quartiere vennero ad abitare persone di diversa provenienza geografica, culturale e sociale – c’erano gli immigrati dal Sud, gli inurbati dalle campagne, i profughi dell’Istria, c’erano persone di cultura operaia e altre di provenienza contadina, c’erano i cattolici e i comunisti in un tempo di guerra fredda: era un mix di persone che non si conoscevano e in cui sarebbero potute nascere mille conflittualità. In questo contesto – don Mazzi, don Gomiti e don Caciolli – e i molti laici che costituirono la comunità intorno a loro mostrarono che era davvero possibile andare oltre le distinzioni tra parrocchiani e non, tra credenti e non credenti, tra preti e laici, tra cattolici e comunisti, tra uomini e donne, per lavorare insieme, per chiedere servizi, ottenere la scuola, dignità e diritti per il bene di tutti.
Questo “senza distinzioni” non era una pratica di cooptazione al proprio modo di pensare, né un modo di rendere tutti standardizzati e omologati. Quella omologazione che vuole il sistema consumista e liberista (il pensiero unico) o che vogliono le strutture autoritarie. Era piuttosto un faticoso e creativo modo per mettere insieme la ricchezza delle differenze, per costruire spazi e modalità di vero ascolto a partire da chi ascolto e parola non li aveva, non li aveva mai avuti e nemmeno si sognava di poterli avere, un modo per essere più creativi e intelligenti, per osare strade mai tentate, per essere più capaci di soluzioni utili per tutti! È una strada che cerchiamo di praticare anche oggi! Non è un’utopia perché la si è già praticata e lo si può fare anche oggi.
Don Mazzi scriveva anche “senza rinchiudersi o separarsi”, sono parole che ci parlano anche oggi: significano senza cercare la finta sicurezza della sola propria famiglia o della propria piccola appartenenza, senza illudersi che basti coltivare il proprio orto, senza pensare che l’individualismo possa essere una buona soluzione; la convinzione di fondo era quella che don Milani esprimeva dicendo “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia“.
2) la seconda e terza parola sono PARTECIPAZIONE e RESPONSABILITA’: per mettere insieme la ricchezza delle differenze, per dare davvero parola a tutti a partire da chi non l’aveva, per tessere insieme le idee e le intelligenze del maggior numero possibile di persone partendo dagli ultimi, la Comunità dell’Isolotto ha costruito e contribuito a costruire nel quartiere le condizioni, gli spazi e le modalità perché le persone potessero prendere la parola. In questo sforzo non va dimenticato che all’Isolotto hanno svolto un’attività intensa l’Associazione Genitori1, la Scuola Popolare2, il doposcuola3, il movimento degli Scout, il movimento di “Scuola e Quartiere”4, il movimento per la Biblioteca, il Comitato di Quartiere e il coordinamento dei Comitati di Quartiere che è stato il presupposto per il decentramento5, e non ultimo ci sono state molte iniziative per la pace.
Ma cosa significa prendere la parola? Il “prendere la parola” cui mi riferisco non ha nulla a che vedere con quel simulacro vuoto che è oggi, spesso, l’intervenire – a volta fatto di puro narcisismo, a volte di odio – sui social, protetti e nascosti dall’anonimato. Il prendere la parola che si è voluto costruire in questo quartiere era dire la propria esperienza e il proprio pensiero e trovare ascolto, era ragionamento, dialogo, confronto, dialettica, studio e approfondimento, sempre mettendo in gioco la propria faccia e il proprio corpo! Lo si è fatto con migliaia di riunioni, assemblee, iniziative in campo sociale, politico, sindacale, scolastico, associazionistico. La comunità dell’Isolotto lo ha anche fatto su un fronte quasi impensabile cioè facendo in modo che i laici prendessero la parola anche nella lettura, comprensione e commento dei testi biblici ed evangelici e nei gesti della liturgia.
Tutto questo possiamo chiamarlo PARTECIPAZIONE.
Questa partecipazione praticata a lungo ha creato consapevolezza, senso critico, senso del limite, energia positiva, spinta in avanti, senso di responsabilità nei confronti propri e del contesto collettivo in cui si vive. Ha reso le persone capaci di decidere in coscienza per sé stesse e in grado di contribuire a prendere consapevoli decisioni collettive.
Tutto questo – che potremmo definire SENSO DI RESPONSABILITA’ – è l’esatto opposto della delega, della “fuga dalla politica”, della mitologia del capo – tutto questo c’è stato e c’è ancora nel nostro quartiere, ma non è un risultato dato per sempre, non è scontato, è un fuoco e un orizzonte che vanno mantenuti. Il rischio che possa disperdersi è grande.
3) la quarta parola è PROSSIMITA’: nella parabola del Samaritano il dottore della Legge chiede a Gesù chi è il mio prossimo? E la domanda stabilisce confini: il mio prossimo è la mia famiglia, il mio clan, la mia tribù, gli ebrei ma non i gentili, quelli di Gerusalemme sì ma quelli della Samarìa no; la domanda risuona ancora oggi: “prima gli italiani”, “America first”.
Alla fine della parabola Gesù invece chiede “Chi di questi tre – il sacerdote, il levita, il samaritano – ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. La domanda di Gesù rovescia la prima: non “CHI è il mio prossimo?” ma “A CHI IO sono prossimo?”; a chi noi come comunità, come quartiere, come città, abbiamo intenzione di esprimere prossimità, attenzione, fratellanza, estensione dei diritti? La risposta del Samaritano è chiara: la esprime a uno che incontra sulla strada, che non conosce, di cui non sa niente, che probabilmente non rivedrà, che forse non è del suo credo religioso, spendendoci del tempo e dei denari, e perché? perché lo vede lungo la via mezzo morto e ne ha compassione. È un orizzonte di umanità e anche di politica, che ci riguarda moltissimo anche oggi!
PER CONCLUDERE: le strade della fraternità, della prossimità, della partecipazione e responsabilità sono state percorse in questi 70 anni dalla Comunità e da un’ampia maggioranza dei soggetti che vivono nel quartiere; è una strada possibile, non facile, non scontata ma possibile; è necessario crearne le condizioni, mantenerle, adeguarle ai tempi e alle generazioni ma è possibile.
NOTE:
1 L’Associazione Genitori ha promosso iniziative per nuovi edifici scolastici e per una diversa qualità della scuola dell’obbligo.
2 la Scuola Popolare è stata attiva finché non sono state conquistate le cosiddette “150 ore” nei principali contratti di lavoro.
3 Il doposcuola si è realizzato con una positiva collaborazione fra Comunità e Casa del Popolo di via Palazzo dei Diavoli.
4 Il movimento “Scuola e Quartiere” collegava le esperienze dei doposcuola, delle scuole popolari, dei comitati genitori esistenti in città.
5 I Comitati di Quartiere riuscirono ad ottenere dal Comune, nel 1976, il decentramento amministrativo (realizzato tramite i Consigli di Quartiere).